Sono nel ramo morte; sapete com’è: tutti spiriamo e prima o poi devono passare tutti in ditta da me. Mi sono fatto raccontare da mio nonno come gli fosse venuta l’idea di Stoneclip®, il prodotto che ci ha fatto diventare una delle dieci famiglie più ricche del mondo:
“Nipote mio, devi sapere che la sera del 21 gennaio 1949 un pullman delle Autolinee Romagnole ha preso fuoco. Ci furono 11 morti, più il conducente, Diomede “Dio” Cangini. Secondo alcuni testimoni sembra che il bus fosse stato colpito da un fulmine. Dei due superstiti, ricoverati nell’ospedale più vicino, uno, gravemente ferito, è presto spirato. Si trattava dell’inventore F., nelle cui tasche c’era il seguente scritto:
Una vedova a Tbilisi si avvicina alla tomba del marito. Le sue dita aprono la borsetta ed estraggono un telecomando. Contemporaneamente, nel cimitero di Vancouver, un ragioniere è chino sulla lapide del fratello spentosi dieci anni prima. Sui loro volti rimbalza il riflesso colorato delle immagini che provengono da un tubo catodico.
Guardando quel che vedono i loro sguardi, vedremmo, incastonato nella pietra, là dove un tempo sbiadiva una foto immobile e ammuffita, un piccolo schermo televisivo nel quale scorre la viva immagine dei trapassati che salutano dal motoscafo. Entrambi i compianti avevano avuto l’accortezza di acquistare un contratto STONECLIP, un sistema che con un piccolo aggiornamento permette una grande rivoluzione. Il mondo delle ritualità legate al decesso è infatti tradizionalmente refrattario all’innovazione, e procede – come le trasformazioni geologiche – per ere. Ma nei prossimi decenni si assisterà a un importante assestamento: l’immagine funebre, liberata elettronicamente dal suo carcere di carta patinata, non potrà più rinunciare a dipanarsi in sequenze. Il sepolcro è la testimonianza delle memorie che vengono trasmesse nel turbine delle generazioni: l’immagine in movimento vince il vincolo silenzioso del tempo e accresce il contenuto sacro dei ricordi.
Più in basso c’era il disegnino a colori d’un piccolo televisore ovale, applicato sulla lapide d’una tomba, nel posto in cui normalmente sta la foto.
Io ero l’altro superstite, non avevo ferite gravi, e mi annoiavo da matti lì nel letto accanto a quel minchione d’inventore in coma, pertanto gli avevo sfilato il foglio che gli spuntava dalla tasca della giacca, così per avere qualcosa da leggere.
Il testo era aulico, ma l’idea ottima. E ho pensato che sarebbe stata più utile a me che a un morto, perciò con un trucchetto gli ho inserito un po’ d’aria nella flebo…
Poche ore dopo la vedova ha chiamato in ditta”.