MIRIADI di extracomunitari vengono sguinzagliati ogni giorno in ogni quartiere per riempire le cassette della posta. Uno, cento, mille volantini della stessa ditta nella stessa buca. L’importante è esaurirne la dotazione. Vi è mai capitato di tornare dalle vacanze e trovare la cassetta intasata da imprese immobiliari, ipermercati, idraulici da asporto, pizzerie etniche, factotum?
Per affrontare il problema, alcuni intraprendenti condòmini si sono attrezzati affiggendo sul portone cartelli che invitano a non depositare reclâmes all’interno. Ma altri hanno adottato un’alternativa inquietante: hanno scelto di destinare una cassetta esterna alla pubblicità condominiale.
Chissà se nelle assemblee dei palazzi che hanno adottato tale stratagemma viene nominato un guardiano-custode col compito di sorvegliare le chiavi del manufatto a nome del condominio? E chissà se costui ne spartisce periodicamente il contenuto tra gli inquilini – o magari assegna una copia della chiave a ciascun residente, in modo da permettergli di disporre a piacimento della sostanza racchiusa nell’augusto forziere?
In realtà le cassette esterne della pubblicità sono un ipocrita “pre-rusco”. Un piccolo inferno più dolce. Un modo per differire di qualche giorno le fiamme dell’immondezzaio. Esse sono il compassionevole luogo terminale d’una saga cartacea che non ha più nulla da temere perché non ha più nulla da sperare. La cassetta della pubblicità esterna ha infatti il privilegio di non essere nulla: esclusa dagli umani, negletta dai condòmini, ignorata dai passanti, essa è una porzione d’aldilà che è già qui: una zona franca che esiste senza esserci, senza che nessuno afferri il suo ufficio. Tanto varrebbe istituire dei veri e propri bidoni della spazzatura con sopra scritto: ‘pubblicità’.
(Stefano Bonaga e Marco Cavani); La Repubblica, agosto 2004